Il teatro di narrazione conquista un suo spazio peculiare in Abruzzo, dove giovani contastorie veicolano emozioni e contenuti che hanno a che fare con l’ambiente e la difesa della natura. Collocano preferibilmente i propri spettacoli negli spazi aperti e nei parchi, come parte integrante di escursioni teatrali o narrate, coniugando l’impegno artistico con l’avvaloramento delle culture e delle storie che esprimono la relazione delle comunità con gli elementi naturali.
Di questa nuova scena, che si va consolidando nell’alveo di una tradizione, anch’essa relativamente giovane ed avviata negli anni Novanta del secolo scorso da narratori come Marco Paolini, che ben conosciamo in Abruzzo e che ha introdotto il genere come occasione culturale e politica di memoria, inchiesta, viaggio di conoscenza e consapevolezza, sono validissimi e originali interpreti Marcello Sacerdote e Francesca Camilla D’Amico, i quali hanno in comune non soltanto l’appartenenza ai territori che attraversano e l’amore per il lascito di memoria e ispirazione dei luoghi originari della Majella, la montagna madre d’Abruzzo, ma anche gli anni della formazione, nel tratto di strada che hanno percorso insieme, tra il 2012 e il 2017, quando fondavano il gruppo teatrale “Muré Teatro”.
Importante l’impegno di reviviscenza del patrimonio culturale locale, che questi giovani contastorie portano in scena insieme alla propria identità e con il solo strumento della parola, talvolta accompagnata dalla musica o dal canto. Tratteggiano una scena peculiare e promettente, dalla quale scaturiscono valori influenti e necessari che insegnano ed educano, mentre affabulano ed affascinano, in direzione della consapevolezza e del rispetto del creato, la più grande sfida del nostro tempo.
Di Marcello Sacerdote (premio “Trilussa” 2019 per la qualità della ricerca artistica e l’impegno sociale), abbiamo seguito, nella Riserva Naturale Lago di Penne, un delizioso e coinvolgente racconto sul lupo che faceva tesoro di leggende, pratiche e curiosi rituali apotropaici delle comunità della montagna abruzzese per affrontare la temibile minaccia del più grande dei predatori appenninici. Materiale che è confluito nella sua recente produzione “Lupo in-canto – storie di uomini e lupi”, liberamente ispirato al libro “L’incantesimo del lupo” di Adriana Gandolfi, spettacolo con musica dal vivo, eseguita da Flavia Massimo, che coniuga storia, folklore e poesia per raccontare il legame ancestrale che da millenni unisce uomini e lupi in quei territori, in una relazione che da sempre genera fascinazione e curiosità ma anche contraddizioni e feroci conflitti.
Sacerdote ha fondato a Chieti, nel 2018, l’associazione “Cuntaterra” con la quale conduce ricerca, creazione e formazione nel campo del teatro e della musica con l’obiettivo-manifesto di operare “con un pensiero alle radici e lo sguardo aperto sul mondo”. Un teatro popolare, che si rivolga a tutti, “generoso, necessario ed umano”, come lo definisce il contastorie, che padroneggia sapientemente i tempi del racconto, il canto ed i suoni di strumenti della tradizione (organetto, zampogna, flauti, tamburelli), conducendo lo spettatore nel regno magico e affascinante dei lupi e nelle relazioni profonde che indissolubilmente legano la specie alla storia dell’uomo nelle nostre montagne. Il dialetto, che usa efficacemene, restituisce gli elementi ancestrali, popolari e magici di questa relazione, con esiti poetici e divertenti, che sono il frutto di un’appassionata ricerca etnoantropologica e della profonda conoscenza del tessuto culturale locale.
Di Francesca Camilla D’Amico, che ha mosso i suoi primi passi nella pratica teatrale con il Piccolo Teatro del Me-Ti di Sandro Cianci, nutrendosi poi dell’incontro con i gruppi e le realtà del teatro di ricerca e di narrazione più feconde, abbiamo conosciuto il suo lavoro più recente, “Paolo dei lupi” (finalista al Premio Nazionale Otello Sarzi e ad In-Box Verde 2020), costruito sull’esemplare biografia di Paolo Barrasso, biologo e poeta che negli anni Settanta viene inviato a studiare il grande predatore nell’ambito del primo primo progetto per la salvaguardia del Lupo Appenninico in Italia: l’Operazione San Francesco, promossa dal WWF Italia, prima nel Parco Nazionale D’Abruzzo, Lazio e Molise, poi nella Majella, non ancora parco nazionale.
Lo spettacolo, coprodotto da Florian Metateatro con Bradamante Teatro, la realtà fondata a Pescara dall’attrice prendendo a simbolo la donna guerriera dei poemi epico-cavallereschi, ha la regia d’eccezione di Roberto Anglisani, storico esponente della Comuna Baires (di cui ha fatto parte anche César Brie) che, con Marco Baliani, ha dato vita a un’importante stagione del teatro di narrazione italiano. Abbiamo visto lo spettacolo a Città Sant’Angelo, là dove aveva preso le mosse nell’ambito della Residenza artistica per artisti Oikos promossa dal Florian sotto la direzione dello stesso Anglisani.
In una scenografia essenziale, di William Santoleri, fatta di bianchi tronchi sinuosi che disegnano lo spazio di una faggeta, lo stile narrativo di Francesca Camilla D’Amico è asciutto e il ritmo è sicuro, a tratti incalzante, e ricorda esplicitamente il lascito di Paolini, per la gestione dei tempi e per quel puntare fin dall’inizio, per ampie digressioni, ad un acme, ma anche per il modo di presentare i fatti, documentati, che compongono il racconto. L’artista utilizza informazioni esatte, conosce la letteratura sui lupi, che arriva dalle ricerche più recenti ma anche dalla cronaca, dagli studi sull’etologia dell’animale e persino degli ibridi, studiati solo di recente. Elementi che intreccia con le poesie di Barrasso, con colorite espressioni locali e motti dialettali e con il fascino di relazioni da fiaba in cui incontrare il pastore abruzzese Orso, il primo lupo avvistato, Fratello, la sua compagna Lama Bianca e i loro cuccioli. E sebbene non prefiguri una felice conclusione, registrando la drammatica scomparsa, in montagna, del ricercatore, e l’uccisione, per mano umana, di lupo “Fratello”, fa procedere il racconto, e la speranza in un futuro migliore, la curiosità priva di pregiudizi del co-protagonista, il piccolo Simone, che con il biologo vive la sua esperienza di formazione, accogliendo il messaggio di una possibile pacifica convivenza con i lupi, che consenta di sfatare tanti luoghi comuni e mitigare i conflitti.