Il teatro dell’incontro e dell’umore, César Brie all’Aquila (1996)

César Brie, Ph. P. Porto, courtesy Arti&Spettacolo

Nel maggio 1996 Giancarlo Gentilucci, direttore del Teatro Accademico (TADUA) e il Dipartimento di Culture Comparate dell’Università dell’Aquila, in collaborazione con l’ATAM (Associazione Teatrale Abruzzese e Molisana) portano nel capoluogo abruzzese l’esperienza del Teatro de los Andes, la compagnia che César Brie, straordinario attore argentino fuoriuscito dall’Odin Teatret di Eugenio Barba, dopo aver fatto fatto parte della Comuna Baires, ha fondato cinque anni prima a Yotala, in Bolivia. Al Ridotto del Teatro Comunale Brie presenta un repertorio di quattri spettacoli: “Ubu in Bolivia”, “Solo gli ingenui muoiono d’amore”, “I sandali del tempo” (prova generale aperta) e “Da lontano”, più alcuni momenti in cui racconta la genesi del Teatro de los Andes nel contesto del teatro latino americano (con l’introduzione di Ferdinando Taviani). Lo stesso Gentilucci crea l’occasione di un incontro, nella sua casa nel centro storico dell’Aquila, dal quale scaturisce un’intervista e un’avvincente testimonianza pubblicata sulla rivista dell’Atam “Teatro e Regione”, che qui riproponiamo per il suo valore, come ebbe a dire lo stesso Gentilucci, di memoria “di cose precise e ben fatte”.


Il Teatro de los Andes è un teatro che arriva da lontano, non solo geograficamente. Viene dalle regioni del cuore e del desiderio, vivo e presente, nella visione del suo fondatore César Brie, molto prima che il progetto prendesse corpo in Bolivia, nell’agosto 1991, come una creatura già dotata di un suo respiro.
La lucida ispirazione con cui Brie, l’attore argentino che ha fondato il Teatro de los Andes a Yotala, nella parte meridionale della Bolivia, dopo essere stato cofondatore della Comuna Baires e aver partecipato, negli anni ’87-’90 del lavoro dell’Odin Teatret, a Holstebro, in Danimarca, racconta la genesi del suo teatro, produce all’ascolto commozione: per un impegno inseguito come una missione, per la felicità in cui si traduce l’espressione della radicalità delle scelte esistenziali in rapporto agli obiettivi da raggiungere.
Quando lasciò l’Europa e l’Odin Teatret, al quale si era legato dopo l’incontro, a Milano, con Iben Nagel Rasmussen, l’attrice che considera la sua maestra, avendo risparmiato denaro per quattro anni, rinunciando a tutto e vivendo da asceta, César spedì in Bolivia le sue cose ed acquistò un biglietto aereo di sola andata. Una volta arrivato, comprò una casa diroccata nel paesino di Yotala, vicino a Sucre, un fuoristrada di quelli che usano i missionari per spostarsi sulle impervie strade andine, un equipaggiamento tecnico minimo ma buono. E lì, con alcuni compagni di strada, incominciò a lavorare alla costruzione di una casa che ospitasse degnamente la sua idea di teatro. Un teatro – fattoria, dove abitare, preparare e presentare spettacoli, ospitare artisti, organizzare incontri e seminari.

César Brie ph. P. Porto, Arti&Spettacolo

Fin dall’inizio il lavoro assunse direzioni programmatiche precise, in risposta ad alcune esigenze primarie del teatro. In primo luogo, come per tutti i teatri che hanno voluto essere culturalmente influenti, si trattava di costruire un rapporto con il pubblico. Nella debole tradizione teatrale boliviana, per il Teatro de los Andes si trattava di formare degli spettatori traendoli fuori da situazioni teatrali istituzionali e cristallizzate e di portare il teatro nei luoghi che non sono del teatro ma della gente nella vita di tutti i giorni. Si cominciò col recitare per dieci, venti persone ma le cose migliorarono molto rapidamente.

L’esigenza di un rapporto onesto con gli spettatori imponeva di chiedersi quali bisogni essi avessero e se il teatro avesse qualcosa da offrire. Così per cominciare si adottò uno stile epico – grottesco, affine alla cultura locale, dove le cose sono esagerate nel ridicolo ma senza perdere la loro connotazione di realtà. Un teatro popolare nell’accezione più alta del termine, fatto di uno humour che rifiuta i luoghi comuni e i pregiudizi e che, giocando con il succo delle esperienze, “Raggela il sorriso dello spettatore e lo costringe a guardarsi“. Di questo teatro, “Ubu in Bolivia” è un esempio: “Ogni allusione a fatti reali – dichiara Brie – è intenzionale ma siccome riteniamo poco serio scrivere opere storiche, non ci consideriamo responsabili se in questo spettacolo il mondo ci assomiglia”.

Siamo professionisti nell’antico senso di professare le nostre motivazioni, confessarle in pubblico. Ed è la relazione con il pubblico che determina il nostro agire: togliere il teatro dai teatri e portarlo dove c’è la gente, nelle università, piazze, quartieri, villaggi, luoghi di lavoro, comunità. Cercare un nuovo pubblico per il teatro e creare un nuovo teatro per questo pubblico”. Cerchiamo di unire nelle nostre opere le riflessioni sullo spazio scenico, sull’arte dell’attore e la necessità di raccontare storie, di ricordare, di tornare in sé. Ci proponiamo un teatro dell’umore e della memoria“.

Un altro nodo della strategia del Teatro de los Andes fu la scelta di non negare, anzi di avvalorare, le esigenze intime ed esistenziali degli attori, che spingono per emergere loro malgrado. Questo accade nello spettacolo “Solo gli ingenui muoiono d’amore” di cui César Brie è autore e interprete. Nello spettacolo un uomo veglia gli abiti di un morto e attende che amici e parenti vengano a porgergli l’estremo saluto. Mentre resta nella sua attesa vana, veste gli abiti del morto e incomincia a reccontarsi: l’infanzia, il rapporto con i genitori, l’iniziazione al sesso, alla politica, le ossessioni artistiche. Di questo fardello vibrante si carica e va verso il forno crematorio. L’uomo, infatti, è il morto ed è talmente solo da doversi vegliare da se stesso.

All’interno del Teatro de los Andes convivono due anime, l’occidentale e l’andina, molto diverse tra loro. Attraverso quale strada di ricerca e di creazione si poteva pensare di unirle?
Per rispondere a questa domanda, Brie narra di un rituale andino secondo il quale “nel giorno della festa dei morti, l’amico più intimo indossa i vestiti del morto, va sulla tomba, raschia la terra che la ricopre e scappa. Da quel momento finge di essere l’amico morto, racconta, rassicura i vivi, poi si accomiata e se ne va. L’indomani, al suo ritorno, tutti gli diranno ‘E’ tornato qui il tuo amico, ha chiesto di te’ . In questo modo le popolazioni delle Ande saldano la vita e la morte”.

Il motivo della morte e la possibilità del viaggio di conoscenza dell’aldilà contemplata dal rituale andino sono diventati, nel lavoro per uno spettacolo che si intitola “I sandali del tempo” un modo per affrontare collettivamente il tema della memoria e della storia. Il viaggio del morto è diventato il viaggio in Bolivia, ma il mondo devastato dalla guerra non appartiene solo alla Bolivia, e lo spettacolo, infatti, si conclude con una canzone zigana dalla ex Jugoslavia. “Dimenticare è lecito e necessario – avverte César – ma non si deve perdere la memoria. Questo vale bene per voi, in Italia, in questo senso la nostra povertà può dirvi molto“.

Vogliamo costruire un ponte tra la tecnica teatrale che possediamo – e che potremmo definire occidentale – e le fonti culturali andine che si esprimono attraverso pratiche proprie di musica, feste, rituali. Il contatto, l’incontro e il dialogo sono imprescindibili per il nostro lavoro culturale, non l’isolamento“.

Il teatro dell’umore e della memoria che “I sandali del Tempo” sintetizza, in sintesi viene a darci una lezione, a dirci che “Si può accedere al sublime con un sorriso, perché l’estrema allegria sbocca nel pianto e il pianto che evica i morti può trasformarsi in giubilo”.

Nella musica e nella ricerca delle sue fonti originarie si riconoscono le anime degli attori musicisti del Teatro de los Andes. La ricerca è condotta secondo criteri anti folklorici e, come altri gruppi eticamente affini, il Teatro de los Andes rompe le dicotomie di nostro/loro, di nazionale/esterno, cerca le analogie sul modo di cantare e di produrre suoni e polemizza con l’usurpazione commerciale delle fonti primordiali. Questo è il senso dello spettacolo “Da lontano, Canzoniere del mondo“.

La perfetta rispondenza tra gli spettacoli e la ricerca che ad essi ha condotto, la motivazione profonda data ad ogni singola offerta allo spettatore, è ispirata a criteri di sincerità. “Lo spettatore deve ricevere dal nostro lavoro acqua cristallina, la commozione dove la ricerca si distilla. La commozione è la terra comune di cuore e cervello. Cerchiamo di comunicare la nostra commozione in una storia comprensibile a tutti. Chi possiede più mezzi capirà qualcosa, chi ha meno mezzi vedrà qualcos’altro, ma non resterà escluso da questa terra. Nemmeno i bambini. Vogliamo essere un teatro popolare. Popolare è l’artista di cui gli altri hanno bisogno anche senza accorgersene“.

L’esigenza di una non casualità nel manifestarsi del senso riguarda anche le prove e la preparazione di uno spettacolo. L’obiettivo è comunque e sempre un incontro.

“Cerco di creare le condizioni migliori per gli attori per verificare il teatro anche nelle situazioni più difficii, affinché essi abbiano forza. Non comprendo la tendenza a proteggere gli spettacoli. L’attore deve avere la forza di imporsi anche là dove la sua presenza non è richiesta. Con il nostro teatro ci proponiamo di formare un attore – poeta, nel senso etimologico del termine: facitore, creatore. Colui che crea e fa. Per questo realizziamo un allenamento fisico quotidiano, fisico e vocale, e lavoriamo su forme di composizione e improvvisazione. Ciò che veramente conta è creare le condizioni perché l’incontro dell’attore con lo spettatore avvenga“.

Per facilitare l’incontro e far coagulare il movimento culturale che molto velocemente si è creato intorno al suo operare, il Teatro de los Andes pubblica una rivista, la sola rivista di teatro boliviana (l’unica preesistente ha cessato di uscire nel 1965) . Fedelmente all’accezione di teatro popolare di cui César Brie parla, la rivista si chiama “El Tonto del Pueblo“, letteralmente: “Lo scemo del Villaggio”, ed affianca il lavoro teatrale secondo obiettivi precisi: memoria, ricerca, pedagogia, (soprattutto rivolta ai giovani: “Quelli – dice – che cambierebbero il mondo se sapessero come fare“) ed ancora dibattito culturale e intrattenimento (musica, cinema, danza), nella convizione che “Hay un tonto en cada pueblo, un pueblo sin tonto es un pueblo sin alma“.

La mescolanza di razze, di culture, di usi, le migrazioni hanno sempre creato nuove forme espressive. Anche se si sono perse cose del passato, la mescolanza delle culture generata da quell’incontro è la forma in cui oggi l’uomo si esprime: figlio della sua condizione ed esperienza, con la memoria aperta a ciò che è stato e la mente proiettata in avanti. Quest’uomo è il soggetto e l’oggetto del nostro lavoro“.

Aveva previsto un tempo di dieci anni César Brie perché il suo teatro divenisse quello che è diventato in un solo lustro, durante il quale ha prodotto undici lavori teatrali, rappresentandoli 237 volte in Blivia e 102 volte all’estero, e organizzato altrettanti laboratori teatrali per attori. “Se morissi adesso – chiosa – sarei contento, perché sto facendo qualcosa che ha senso“.

Sulla scelta del Teatro de los Andes per L’Aquila, nel medesimo contesto, Giancarlo Gentilucci dichiara:

La presenza di César Brie e del Teatro de los Andes risponde alla necessità, per noi spettatori, di poter assistere a degli spettacoli ‘vivi’ dove la vita è determinata dalla qualità della messa in scena che riaccende la nostra attenzione, dove tutto diviene credibile e comprensibile e rende sopportabile la nostra esistenza di spettatori. Per questo amiamo la compagnia del Teatro de los Andes (amore per le cose precise e ben fatte). Ogni volta che tornano ad incontrare noi del vecchio continente con i loro spettacoli, ci danno la possibilità di parlare e comunicare, offrendoci emozioni e ragioni. Così noi spettatori ci ritroviamo contemporanei al nostro tempo, a incontrarci e a parlare delle ragioni della nostra vita”.

L’Associazione culturale “Arti e Spettacolo”, fondata e diretta da Gentilucci ha co-prodotto e distribuisce in Italia alcuni spettacoli del Teatro de los Andes. Attualmente ha in repertorio “Solo gli ingenui muoiono d’amore”, “Ero” (in collaborazione con Teatro Stabile d’Abruzzo), “120 chili di Jazz” e “Il Mare in tasca”, tutti scritti e interpretati da César Brie.

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