Omaggio ad Alda Merini, nel decennale della scomparsa, lo spettacolo “Dio arriverà all’alba” è andato in scena il 22 novembre al Teatro Comunale di Teramo, per la stagione di Abruzzo Circuito Spettacolo, apprezzato da un pubblico generoso e coinvolto, al punto da stringere in emozionati abbracci gli interpreti, che hanno altrettanto generosamente atteso gli spettatori all’uscita.
Produzione di TeatroSenzaTempo, un gruppo di giovani attori e la passione di un giovane regista drammaturgo sono stati gli ingredienti di una messinscena ben costruita e rispondente alle intenzioni di celebrare a teatro la dimensione umana e poetica della Merini, evocata nella quotidianità della sua casa sui Navigli, quando il peso e la chiaroveggenza degli anni la rendono più ostinata ed esigente, ma anche ironica, bizzarra e capricciosa.
Il titolo dello spettacolo cita un verso della celebre poesia “Accarezzami” (Accarezzami, amore/ma come il sole che tocca la dolce fronte della luna/ Non venirmi a molestare anche tu/con quelle sciocche ricerche sulle tracce del divino/Dio arriverà all’alba/se io sarò tra le tue braccia).
L’autore, Antonio Nobili, poeta egli stesso, in questo suo lavoro sulla biografia della poetessa, ha tenuto presente, oltre il decennale della morte, anche il quarantennale della Legge Basaglia, che portò alla chiusura dei manicomi, interessato, come ha dichiarato, non a compiere un’operazione agiografica o didascalica della monumentale produzione artistica o della perturbante esperienza umana, ma a far emergere, con “semplicità”, il nesso tra la dimensione esistenziale della poetessa e il suo straordinario genio poetico.
Di questa semplicità anche la scenografia è il doppio, con pochi oggetti solitari, segnati dal tempo e dalla polvere, disordine e fumo, com’era forse la casa popolare in cui la poetessa visse gli anni della maturità, combattendo con i fantasmi dell’esperienza incancellabile del manicomio e assecondando la necessità salvifica della poesia. Sui muri, secondo il suo costume, numeri di telefono, scritte e disegni; nella stanza poche suppellettili, una poltrona, il televisore, lo specchio, il telefono, piccoli tavoli di fortuna e le onnipresenti sigarette.
L’attrice Antonella Petrone l’ha evocata con energia, restituendone fisicità e personalità, con l’arguzia della parola che abbiamo appreso a conoscere grazie ai suoi aforismi e quella struggente e appassionata delle sue liriche. In scena la protagonista è circondata da personaggi che frequentano la sua dimora per assisterla, curarla, trascrivere testi, intervistarla per un progetto di ricerca e che, tollerando le sue compiaciute stranezze, sono docilmente avvinti da una parola che rivela il succo delle cose, distruggendo luoghi comuni e pregiudizi.
Accade nella reciproca seduzione che sperimenta con Paolo, il giovane ricercatore mandato ad intervistarla, che assume per lei il volto anelato dell’amore, sì da renderla ancora vulnerabile alle emozioni e al flusso dei ricordi dolorosi. In una dimensione che, tuttavia, resta sempre permeata di bontà, amore e riconoscenza, giacché, come ebbe a dichiarare in vita, anche “Quella croce senza giustizia che è stato il mio manicomio non ha fatto che rivelarmi la grande potenza della vita”.
Come nei versi che ci ha consegnato, irradia sulla scena il dono dell’amore, che legherà i giovani coprotagonisti e che lei stessa condividerà, in una catarsi che la renderà finalmente capace di affrontare la sfida più ardua, la ricerca della figlia amata e perduta. La “grande potenza della vita”, che consente di accogliere l’ineluttabilità degli anni, dei mali e dei fantasmi, e l’anima sempre giovane e grata, si incarnano ostinatamente nella gaiezza di una bambina vestita di bianco.
Nel cast, oltre alla protagonista Antonella Petrone, Virginia Menendez, Daniel De Rossi, Valerio Villa, Alberto Albertino, Sharon Orlandini. Lo spettacolo sarà nuovamente in Abruzzo il 14 dicembre a Pescara.