“Una ciliegia, per la bocca della sposa!”, invoca irriverente la ciurma del Pequod, mentre tra rumorose scorribande sulle tavole del palco, brandendo croci di legno e intonando canzoni di taverna, dà inizio allo spettacolo “Moby Dick – Come il mare io ti parlo”. Lo spettacolo è andato in scena con successo il 2 agosto al Teatro Monumento D’Annunzio di Pescara, con la drammaturgia e la regia di Claudio Di Scanno.
Il dramaturg abruzzese (fondatore e direttore di Drammateatro e di Popoli dei Teatri) ha intessuto in questo suo lavoro affascinanti suggestioni di tragedia, commedia, poesia e sogno, evocando sonorità di ballate di bettole nei porti, brumose e tumultuose atmosfere di oceani in tempesta e la ricorrente grazia onirica di una luna bianchissima portata al laccio da una candida sposa fanciulla.
Una messinscena vivida e visivamente coinvolgente di “Moby Dick o la Balena”, romanzo quanto mai complesso dello scrittore americano Herman Melville, che Di Scanno ha allestito in occasione del bicentenario della nascita (1819 – 1891), per il Pe.Fest dell’Ente Manifestazioni Pescaresi diretto da Angelo Valori, indimenticato co-autore di un’altrettanto memorabile “ConcertAzione” di Drammateatro, “A tutti gli Uragani che ci passeranno accanto”, dedicata a B. Brecht.
Libro d’avventura, “Moby Dick”, in cui si stratificano dimensione mitica e mistico-religiosa, citazioni bibliche, costruzione quasi già teatrale dei personaggi, rimandi letterari ed elementi testuali che trasformano il romanzo da avvincente avventura di mare in perturbante tragedia, con i suoi sottotesti, funzioni, catarsi, dove la balena bianca, misteriosa e inquietante, è metafora di ciò che di più ignoto, agognato e inafferrabile è per l’uomo.
Di Scanno, che ha abituato il pubblico a originali sintesi drammaturgiche, ultimamente percorrendo proprio itinerari narrativi (come “Il treno dell’ultima notte” di Dacia Maraini), ha scelto per il suo Moby Dick il titolo di un carteggio amoroso tra D’Annunzio e la Duse, senza tralasciare alcunché della complessità del romanzo e affidando all’attrice iconica del Drammateatro, Susanna Costaglione, il compito di incarnare, mirabilmente, allo stesso tempo il narratore, Ismaele, unico sopravvissuto alla distruzione del Pequod, e le intenzioni letterarie di Melville, del quale da un certo punto in poi assume esplicitamente il ruolo, instaurando un serrato dialogo critico con il protagonista del racconto, il capitano Achab, di cui scandaglia l’animo confutandone le tenaci certezze.
Al piglio di una fantastica “ciurma” di giovani attori ben orchestrati e valorizzati, Di Scanno affida le funzioni del coro, a commento cioè delle azioni di Achab o anticipandole, coralmente, come nella tragedia attica, ma si riconosceranno nello spettacolo anche alcune citazioni shakespeariane. Agli attori – non al capitano Achab che mantiene una sua ferma alterità rispetto agli altri personaggi – affida anche il compito di costruire con i loro corpi e gesti le scenografie, così che nella vuota oscurità del palcoscenico essi efficacemente evochino ora il moto delle onde illuminate dalla luna, ora il mare in tempesta e il violento beccheggiare della baleniera all’inquietante suono della campana, ora il soffio dei capodogli e l’approssimarsi minaccioso di Moby Dick.
Il capitano Achab ha la straniata enigmaticità di un attore di formazione comica, Germano D’Aurelio, più noto come ‘Nduccio”, nel cui personaggio, sotto la coltre dell’abbrutimento di una volontà scioccamente votata alla vendetta, Di Scanno inserisce una traccia di umanissima fragilità che ce lo rende simile in quella sua ostinazione irragionevole ed insensata. Ma proprio quando dalla relazione insistita con l’autore affiora in lui l’idea di una rinuncia e la possibilità di un ritorno a una normalità di vita e di affetti da troppo tempo ignorati, ecco incalzare l’acme della tragedia, giacché nel racconto i ruoli si invertono ed è la balena bianca a dare la caccia all’uomo con feroce determinazione.
Sul palco resta l’immagine di un cimitero di croci piantate dentro secchi di sabbia rossi, mentre un attore inscena il più celebre monologo di Amleto, quasi a suggerirci un’ennesima riflessione sul conflitto mai risolto tra vita e morte, realtà e sogno, uomo e natura.
Ora è l’autore ad accompagnare il suo personaggio, Achab, incontro al suo destino inesorabile e ad abbracciare docilmente quella bianca forma di sposa che irresistibilmente lo attira a sé, mentre il buio si accende di luce metafisica e di surreale armonia.
Oltre a Germano D’Aurelio e a Susanna Costaglione, lo spettacolo è agito dai giovani attori: Stefano Buccella, Rebecca Di Renzo, Enrico Valori, Jamal Mouawad, Lorenzo Valori, Pascal Di Felice, Francesco Salvatore, Pierluigi Lorusso. Le musiche originali di Pierfrancesco Speziale sono eseguite dal vivo da Marco Di Blasio, alla fisarmonica e bandoneon. I costumi sono stati realizzati da Annie Di Sante Marolli, le luci e il suono da Dario Marcheggiani.
Bellissima lettura dell’anima, della scena, dell’azione e del testo. Grazie!
Achab